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Agromafia a Caltanissetta, indebite ingerenze nella gestione di aziende sottoposte ad amministrazione giudiziaria: 12 arresti

I due fratelli avrebbero così assicurato la presenza esclusiva di personale di comprovata fedeltà presso le imprese loro sequestrate, che avrebbe garantito il costante controllo sul divenire delle diverse attività aziendali

I finanzieri del comando provinciale della Guardia di Finanza di Caltanissetta hanno eseguito questa mattina un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 12 persone, indagate – in concorso e a vario titolo – per furto ed estorsione aggravata dal metodo mafioso. A nove di loro è stata applicata la misura detentiva in carcere, agli altri tre quella degli arresti domiciliari.

Il provvedimento cautelare, emesso dal Gip del Tribunale di Caltanissetta, nel corso delle indagini preliminari, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia nissena, giunge al culmine di complesse investigazioni, che hanno consentito di accertare gravi indizi in relazione alle presunte “interferenze” nella gestione di beni aziendali.

I gravi indizi ritenuti dal Gip, sono stati accertati grazie alle indagini, condotte dal Gico di Caltanissetta (Gruppo Investigazione Criminalità Organizzata), e dai finanzieri della locale sezione di Polizia Giudiziaria; indagini che si collocano nel più ampio contesto investigativo delle cosiddette “agromafie”. Tali gravi indizi riguardano le persistenti “ingerenze” che sarebbero state perpetrate da due fratelli – imprenditori agricoli operanti nell’agro della provincia di Enna, sulle aziende confiscate loro in seguito al procedimento di prevenzione.

In particolare, i due germani, attraverso dipendenti “fidelizzati”, avrebbero inciso nelle dinamiche aziendali a più livelli, talvolta anche attraverso l’erogazione di direttive in contrasto con quelle dell’amministratore giudiziario, arrivando alla presunta sottrazione di beni strumentali all’attività agricola per fini personali.

Inoltre, in danno delle stesse aziende, oltre ai ricorrenti furti, sarebbero state accertate diversificate forme di intimidazione nei confronti dei lavoratori assunti dall’amministrazione giudiziaria, configurandosi, in danno di questi ultimi, una singolare forma di estorsione aggravata dal metodo mafioso, perché sarebbero stati indotti a interrompere precocemente il rapporto di lavoro.

Secondo il suindicato provvedimento cautelare le minacce non sarebbero state direttamente avanzate dai due fratelli, per non sovraesporsi, attesa la loro sottoposizione a procedimento di prevenzione e procedimento penale; si sarebbero avvalsi, invece, dell’operato di soggetti a loro “vicini”, ovvero di “fiancheggiatori” per indurre i dipendenti assunti dall’amministratore giudiziario ad abbandonare il posto di lavoro.

Tali minacce sarebbero avvenute con le classiche modalità proprie di chi esercita una capacità di intimidazione mafiosa, tanto che le vittime non solo non hanno sporto denuncia, ma avrebbero altresì sottaciuto al datore di lavoro, l’amministratore giudiziario, le reali ragioni del repentino recesso dal rapporto di lavoro appena instaurato.

Nella sostanza, i due fratelli avrebbero così assicurato la presenza esclusiva di personale di comprovata fedeltà presso le imprese loro sequestrate, che avrebbe garantito il costante controllo sul divenire delle diverse attività aziendali.

I due fratelli avrebbero organizzato, all’interno di una delle imprese sequestrate, anche un evento conviviale “una cena a base di porchetta”. Evento che, in tale contesto, assumerebbe un alto valore simbolico: una dimostrazione di forza, che avrebbe accresciuto altresì il loro prestigio di fronte agli intervenuti.

Inoltre uno dei due fratelli, attraverso “l’intermediazione” di altri “fiancheggiatori”, uno dei quali intraneo a “cosa nostra” e operanti nella provincia di Messina, avrebbe preteso, con modalità estorsive, la restituzione di un autocarro aziendale che un privato, residente nella provincia di Messina, aveva legittimamente e “incautamente” acquistato dall’amministrazione giudiziaria.

Si precisa, infine, che sono stati raccolti gravi indizi circa l’attualità di una vera e propria rete di presunti “sodali” e “fiancheggiatori”, con ramificazioni nelle province di Enna, Catania e Messina, che avrebbe agevolato la pervicace interferenza dei fratelli nelle quotidiane attività aziendali delle imprese confiscate.


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